La teiera

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Andersen Hans Christian fu un illustre autore danese di fiabe dell’ottocento.
Rielaborò fiabe tradizionali nordiche infondendo uno spirito ottimista.
Tra le sue fiabe più famose ricordiamo la sirenetta, il brutto anatroccolo, la piccola fiammiferaia e la regina delle nevi. Fu il più grande poeta e romanziere che si rivolse direttamente a i bambini con fiabe profonde e so-gnanti, ma cariche di vitalità e umanità. Per questo è stato chiamato lo “Shakespeare dei bambini”.

C’era una teiera orgogliosa, orgogliosa della sua porcellana, del suo lungo beccuc-cio, del suo largo manico. Aveva qualcosa davanti e qualcosa dietro, il beccuccio davanti e il manicoteiera dietro, e parlava sempre di quelli, ma non parlava mai del co-perchio che era scheggiato; quello era una mancanza, e delle proprie mancanze non si parla volentieri non lo fanno nemmeno gli altri. Le tazze, la zuccheriera e il bric-co del latte, tutto il servizio da tè avrebbe certamente ricordato il coperchio rotto più che non quel manico e quello splendido beccuccio; la teiera lo sapeva bene. “Li conosco!” diceva tra sé. “Conosco anche la mia mancanza e la riconosco, in questo sta la mia modestia, la mia umiltà; tutti abbiamo difetti, ma abbiamo anche pregi. Le tazze hanno un manico, la zuccheriera ha un coperchio, io ho ricevuto en-trambe e una cosa in più, che gli altri non hanno, ho ricevuto un beccuccio che mi rende regina del tavolo da tè. La zuccheriera, il bricco del latte si vantano di essere le ancelle del buon sapore, ma io sono colei che distribuisce, che domina, io spargo la benedizione tra l’umanità assetata; dentro di me le foglie cinesi trasformano l’ac-qua bollente senza sapore.” Tutto questo la teiera l’aveva detto nella sua tranquilla gioventù. Ma ora stava sul tavolo apparecchiato, e venne sollevata dalla mano più curata ma; la mano più curata era maldestra, così la teiera cadde, il bec-cuccio si ruppe e pure il manico, per non parlare del coperchio di cui abbiamo già detto fin troppo. La teiera rimase svenuta sul pavimento e l’acqua bollente uscì fuori. Fu un brutto colpo, ma la cosa peggio-re fu che tutti risero, risero di lei e non della mano maldestra. “Quello me lo ricorderò sempre!” diceva la teiera quando ripensava alla vita trascorsa. “Venni chiamata invalida, messa in un angolo e il giorno dopo regalata a una donna che mendicava; caddi in miseria, ri-masi stupefatta e incerta sul da farsi, ma proprio in quello stato cominciò la mia vita migliore: si è una cosa e si diventa un’altra. Dentro di me fu messa della terra e questo per una teiera significa essere sep-pellita, ma nella terra fu posto un bulbo; chi lo fece, chi lo donò, lo ignoro, ma accadde, e fu una ricom-pensa per quelle foglie cinesi e per quell’acqua bollente, una ricompensa per il manico e il beccuccio rot-ti. Il bulbo rimase nella terra, rimase dentro di me, divenne il mio cuore, il mio cuore vivente: uno così non l’avevo mai avuto prima. C’era vita in me, c’era nuova forza, energia, il polso batteva! Il bulbo gettò le gemme che stavano per scoppiare a causa dei pensieri e dei sentimenti; poi sbocciarono in tanti fiori; io li vidi, li portai, dimenticai me stessa nella loro bellezza. È meraviglioso dimenticare se stessi per un altro! Quelli non mi dissero grazie, non pensarono affatto a me, vennero ammirati e lodati, io ne ero feli-cissima, come non potevano essere neanche loro stessi. Un giorno sentii dire che il bulbo meritava un vaso migliore. Mi ruppero a metà e mi fece molto male, ma il fiore ebbe un vaso migliore e io venni get-tata nel cortile e mi trovo lì come un vecchio coccio, ma ho i ricordi, che non perderò mai.”

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